“Senza la sfera emozionale non sarebbe neanche possibile ragionare, essendo ragione ed emozioni strettamente connesse in un meccanismo unico che sorregge sentimenti, pensieri e azioni” – A. Damasio.
Vi presento il MUST per la stagione 2024-2025 – no, non è la nuova borsa composta al 99% di aria di Coperni – è il Neurocopywriting, branca del Neuromarketing.
Partiamo dalla citazione di Damasio: i nostri processi decisionali non dipendono dunque dalla razionalità? Le neuroscienze – scienze che studiano il funzionamento del cervello – fanno la loro comparsa anche per smentire questa concezione comune. La risposta alla domanda è: “Proprio così”, precisamente, quando prendiamo una decisione la parte razionale del nostro cervello arriva “in ritardo”, perché oltre ad essere un animale sociale, l’essere umano è prima di tutto un essere senziente – che sente e prova emozioni.
Secondo una nota teoria, il cervello è diviso in tre parti: istintiva, emotiva e razionale, e quest’ultima, è l’ultima ad intervenire quando si tratta di compiere una scelta. Diversi studi neuroscientifici, da Panksepp a Damasio, hanno dimostrato come le parti più primitive – istintiva ed emozionale – siano le responsabili delle nostre scelte. Quindi è un po’ come dire che “ragioniamo di pancia e di cuore”.
Fare leva sulle emozioni, certo. Non è una novità, anzi faceva già parte degli obiettivi alla base delle tecniche di marketing… ma cosa sapete del neurocopywriting?
Cos’è il neurocopywriting?
Per definizione è l’applicazione delle neuroscienze alla creazione di contenuti, con lo scopo di renderli più chiari e vicini alle necessità delle persone, precisamente alle emozioni delle persone, coinvolgendole.
Perché utilizzare le neuroscienze per il copywriting?
Per rendere più efficace la comunicazione, è bene utilizzare le più recenti scoperte sul cervello umano, nel tentativo di impostare la comunicazione stessa su basi scientifiche per fabbricare contenuti ancora più mirati per i lettori.
Come potete immaginare, non esiste un magico pulsante d’acquisto nel cervello, ragione per cui non prendiamo decisioni in modo lineare, tutto il contrario. La nostra mente è influenzata da fattori esterni come esperienze, cultura, giudizi, paure e schemi mentali – mi riferisco ai famosi bias cognitivi. Questa è senza dubbio una massima che vale in ogni momento della vita e, in particolare, nella comunicazione che la accompagna.
Come scrivere per innescare i processi emotivi dei nostri lettori?
Riflettere sulle connotazioni emotive delle espressioni che utilizziamo è fondamentale, tutto nella comunicazione conta – sì anche i punti e virgola. Quello che non possiamo controllare è lo stato emotivo di chi legge: nel momento in cui lo legge, ad esempio, la persona potrebbe essere in uno stato di felicità assoluta e comprare impulsivamente tutti i nostri prodotti o abbonarsi ai servizi che offriamo. Sicuramente, tra le strategie che possiamo adottare come copywriter ci sono le associazioni semantiche per creare assonanze e giochi di parole accattivanti – soprattutto quando si lavora per ideare un claim d’effetto. I vocaboli che scegliamo devono suscitare emozioni, e questa operazione è estremamente delicata… è un po’ come cercare di riparare il nostro vestito preferito, che però è fatto della seta più pregiata e praticamente impossibile da ricucire (e purtroppo non tutti abbiamo Louis Vuitton pronto a cucirci addosso la zip strappata). Le parole vanno pesate e scelte con cura, perché dopotutto “Le parole sono tutto ciò che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste”.
Linguaggio persuasivo, priming e aggettivi emozionali
Insomma, le ricerche neuroscientifiche sul linguaggio hanno dato vita al neurocopywriting, ma non dimentichiamo che la parte veloce del nostro cervello bada più alle immagini che ai testi, teniamo perciò in considerazione l’interezza del contenuto quando lo ideiamo.
Ricordiamo anche che non esistono vocaboli neutri, ogni parola è evocativa a modo suo, c’è sempre una connotazione emotiva. Pensiamo ad esempio ad alcuni aggettivi come: gratis, nuovo, facile, veloce, testato, sono termini dotati di una particolare forza persuasiva che garantisce un certo indice di successo del messaggio.
Ancora, ci sono gli aggettivi emozionali, parole speciali, con la capacità di veicolare emozioni specifiche; tra questi, quelli più efficaci sono quelli che contengono immagini sensoriali, che veicolano un senso quasi nostalgico e ecco un esempio – “Il vestito di Emma Stone agli Oscar è stato realizzato con un pregiato tessuto persiano ricco di filamenti argentati”. L’obiettivo è stimolare determinate aree cerebrali – come l’ippocampo o la corteccia prefrontale ventromediana – coinvolgendo anche l’empatia di ognuno, al punto da evidenziare, ad esempio, una tendenza a comprare a prezzi più alti se la campagna del brand comprende iniziative solidali.
Tutto questo può essere reso più efficace utilizzando la tecnica del priming – un meccanismo di memoria implicita – innescando le emozioni desiderate nel nostro target di riferimento con conseguente comportamento automatico agli stimoli successivi.
Spero di aver acceso in voi una scintilla di interesse per questa branca del marketing che – come avrete intuito – mi affascina parecchio, tanto da averci scritto una tesi.
Purtroppo la boss mi ha impedito di sforare oltre le 2 pagine per questo pezzo, ma in futuro… chissà.
Al prossimo rendez-vous,
(torno ad ascoltare musica country).
–Elle